RIPOLI SANTA CRISTINA (Bologna), 5 maggio 2006
Sorride, scherza, li accarezza, gioca con loro. Lunghe ore in casa e anche all’aperto, tra i colori e i profumi della primavera. «Una fetta di torta?». «Un pasticcino?». «Una bibita?», propone ogni tanto Anna Maria Franzoni.
E i bimbi esplodono in un piccolo, festoso coro di «sìììì», e le corrono incontro. Così di mattina e di pomeriggio, tutti i giorni o quasi, in questo borghetto di vecchie dimore e di antichi silenzi, dove il tempo è rigato da voci rare, dal rumore dei passi e dagli echi tenui della vallata, laggiù.
Lei, però, la «mamma di Cogne», davanti alla domanda sul suo nuovo incarico di «baby sitter di Ripoli», si chiude in un garbato riserbo, anche perché «in questo periodo vorrei avere un po’ di vita privata».
In ogni caso non può negarlo: molte mamme del paese e non solo le affidano i figli...
«No, non posso negarlo e quindi non lo nego. Ma poi cosa c’è di strano? Io con i bambini sto benissimo. Anzi: sono sempre stata bene: tra i bimbi sono nata, tra i bimbi sono cresciuta, tre bimbi li ho messi al mondo. Uno, però, Samuele, è stato ucciso. L’ho perduto e mi manca, mi manca tantissimo...».
Lei, in un certo senso, svolge il compito di baby sitter o, se preferisce, di maestra d’asilo o di doposcuola. Le mamme, quindi, hanno molta fiducia...
«E perché non dovrebbero fidarsi? Chi mi conosce sa perfettamente che io non ho alcuna responsabilità in quant’è successo. In ogni caso non spetta a me giudicare. Anzi, mi sembrerebbe più giusto chiedere un parere a loro, alle mamme che mi lasciano i figlioletti. Penso che non avrebbero nessuna difficoltà a spiegare i motivi del loro comportamento».
I bambini, in questa frazioncina, sono pochi. Quanti gliene affidano? Tre? Quattro?
«Ma no, a volte anche di più: dieci, dodici, dipende dai giorni e dalle situazioni. E non solo di qui: alcuni vengono dai centri vicini. Ecco, a questo punto vorrei fermarmi e non dire altro. Anche perché, non mi sembra il momento di rilasciare un’intervista. E neppure il tema mi pare quello giusto. Sono fatti privati. Posso solo aggiungere che, per quanto mi riguarda, cerco di fare una vita normale».
E ci riesce?
«Questo dialogo si sta trasformando in una serie di domande e di risposte e, sinceramente, preferirei mantenere una certa riservatezza. Cosa faccio? Ma sì, ci provo: che altro posso fare? E allora provo a condurre una vita normale».
Nella sua situazione non dev’essere facile.
«Non è facile soprattutto perché ti manca un figlio. E allora, provo sentimenti contrastanti: da un lato è bello vedere i bambini che crescono e che hanno l’età che avrebbe Samuele, ma dall’altro avverto un immenso dolore e un’infinita tristezza».
di Gianni Leoni